Una questione di famiglia

 
 
 
 

Nella nostra recensione della raccolta di racconti Di seconda mano di Chris Offutt scrivevamo che i protagonisti delle vicende sono “come sospinti ai margini della vita da una forza centrifuga: sembra loro preclusa la formula che conduca alla tranquillità, alla stabilità, a un minimo di benessere esistenziale.” E aggiungevamo che “sono accomunati da una certa tenacia, dall’inclinazione ad affrontare in modo diretto e scabro ogni situazione, nonostante quasi mai essi siano equipaggiati per risolverla a proprio vantaggio, o quanto meno per non uscirne troppo segnati.”

Le medesime formule sono adattabili anche a Mick Hardin e ai personaggi minori di Una questione di famiglia, romanzo di Offutt uscito anch’esso in Italia per minimum fax (giugno 2023), sempre nella traduzione di Roberto Serrai.

Tuttavia qui l’ironia presente in Di seconda mano si fa più disincantata, e la marginalità esistenziale di Hardin e degli altri attori della narrazione può condurre a esiti più drammatici.

Il militare Mick Hardin torna in licenza nella cittadina collinare del Kentucky dove risiede, convalescente per una ferita alla gamba dovuta all’esplosione di un ordigno durante una missione in Afghanistan. Intanto il tassista locale trova il cadavere di Barney Kissick, un piccolo spacciatore di eroina. L’arcigna madre di Barney chiederà a Mick di indagare sull’omicidio, archiviato frettolosamente dalla polizia.

Mick non ha alcun legame affettivo con la famiglia Kissick. Anzi, più in generale è un uomo del tutto sradicato: militare momentaneamente lontano dal servizio, è prossimo al divorzio dalla moglie Peggy, e ha un unico (e complicato) legame affettivo con la sorella Linda, ruvido sceriffo del paese, impegnata nella campagna elettorale per la propria rielezione.

Eppure Mick accetta l’incarico, forse per un primitivo senso di giustizia, o forse nella convinzione che proprio la sua assoluta alterità possa eleggerlo a mero esecutore del compito assegnatogli.

“«Perché io?»
«Non mi fido della legge».
«Nell’esercito sono la legge, signora. Agente speciale della CID».
«Qui non lo vedo, l’esercito».
«Non sta rispondendo alla domanda», disse. «Perché io?»
«Mi fido di te. In un certo senso», disse lei, a bassa voce.
«Perché?»
«Perché non te ne importa davvero».
Mick rifletté. Aveva ragione: non gliene importava di suo figlio, o della legge. Sulle colline ogni omicidio portava ad altre morti, e a lui importava solo che le persone avessero la possibilità di vivere, non di morire” (p. 32).

Le indagini lo porteranno a collaborare con il figlio minore della famiglia Kissick, anche lui militare. E a scoprire che i motivi della morte di Barney sono strettamente legati alla deriva morale di quei luoghi.

In Una questione di famiglia la trama gialla è solo un pretesto per tornare sul tema, caro a Offutt, della separatezza dal mondo: che, se nel caso di Mick è palesata dalla mancanza di ogni minima stabilità (affettiva, sociale, geografica), nei personaggi che vivono nella cittadina ai piedi degli Appalachi si declina in una serie di esistenze fisse, alimentate da manie, pregiudizi e atteggiamenti di difesa preventiva nei confronti di qualunque persona o evento possa turbare la quotidianità.

E allora in questo romanzo l’ironia, dicevamo, si fa dolente. Perché non nasce più, come nei precedenti racconti, dall’incapacità di padroneggiare la realtà, ma dall’impossibilità di trovare autentici punti di contatto tra le varie solitudini, di mettersi davvero in relazione: “Una consapevolezza improvvisa lo avvolse come uno scialle d’acciaio: era solo. La profondità di quella sensazione lo sorprese. Era abituato a vivere da solo, viaggiare da solo, e lavorare da solo. Parlava con la sorella, perlopiù ascoltando lei, e pensava che questo contasse come contatto umano, se non come una conversazione vera e propria. Lui voleva bene a sua sorella. Lei voleva bene a lui, ma la sua presenza in casa era un’intrusione, e cercavano a vicenda di lasciarsi ampio spazio di manovra. Aveva pure cominciato ad abbassare la tavoletta in bagno, come lei voleva e come con sua moglie non aveva mai fatto. Forse avrebbe dovuto. Forse sarebbero stati ancora insieme” (p. 154).

 

(Claudio Bagnasco)

 
 
 

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