Lovecraft Zero

 
 
 

Nella nuova traduzione di Massimo Spiga, che cura il volume e firma una puntuale e utile prefazione, viene pubblicato da Arkadia Editore nel settembre 2014 Lovecraft Zero, che raccoglie i migliori racconti dello scrittore statunitense Howard Philips Lovecraft.Lovecraft Zero

Il volume è composto di tre parti: la prima, Il solitario di Providence, riunisce nove testi dell’autore, mentre Il culto della saggezza stellare comprende quattro racconti di epigoni e ispiratori di Lovecraft. Nelle appendici, alcuni frammenti tratti dalle sue lettere permettono di delineare, infine, un ritratto dello scrittore.

Non ci si soffermerà qui su alcune deplorevoli e sconsolanti convinzioni personali di Lovecraft, confluite anche nella sua opera (su tutte, il suo innegabile razzismo), per lasciar spazio alla voce della sua scrittura.

Ciò che colpisce dei nove racconti è senza dubbio la creazione di mondi indicibili in cui l’essere umano è sempre piccolo e impotente, la sua conoscenza delle cose insufficiente e limitata davanti a paesaggi vasti e scenari sconvolgenti.

In altri termini, l’uomo è in grado di conoscere solo quanto è legato al suo corpo e alle percezioni di questo; l’immenso, l’indistinto e l’informe, anche quando non propriamente orribile e orrido, lo sovrastano con visioni e angosce, mediante la paura dell’Altro.

Per dire ciò a cui la parola non arriva si può forse condurre al limite del sopportabile l’immaginazione. La dimensione onirica di questi racconti permette il convivere della precisione e, al contempo, della vaghezza del sentire, ed è lo spazio in cui l’assenza di significati, di causalità, di trama, danno luogo a una realtà che accade libera dall’umano controllo.

L’uomo vuole però scoprire quanto esiste oltre il visibile, desidera superare i confini del proprio corpo, e si dedica così a esperimenti destinati a fallire, è condannato a soccombere in circostanze incomprensibili secondo la logica dei comuni mortali: “«Con cinque patetici sensi, pretendiamo di comprendere un cosmo complesso oltre ogni più sfrenata concezione. […] Entro ventiquattr’ore, quella macchina accanto al tavolo genererà delle onde: stimoleranno organi sensoriali che possediamo, ma non riconosciamo come tali. Forse si sono atrofizzati. Forse sono ancora in una fase evolutiva rudimentale. Quelle onde ci sveleranno panorami finora sconosciuti all’umanità. […] Noi vedremo queste cose, e altre che nessun vivente ha mai osservato. Percepiremo quel che si trova oltre il tempo, lo spazio e le dimensioni»”; “Fu accertato che Tillinghast era stato stroncato da un ictus, probabilmente dovuto a uno scoppio d’ira. […] Vorrei crederci. Se potessi ignorare ciò che ho scoperto sull’aria che mi circonda e sul cielo, i miei nervi non sarebbero nelle condizioni in cui sono. Mi sembra di non essere mai solo. Mai a mio agio” (Altrove, p. 28; p. 34).

Il non ancora conosciuto non è però l’inconoscibile. Affidarsi a quest’ultimo richiede la rinuncia a ogni rifugio, a ogni prudenza, a ogni strumento. “L’attrazione per ciò che è strano e ignoto mi aveva fatto perdere ogni cautela, mi aveva mutato in un vagabondo” (Città senza nome, p. 53).

Nel racconto dal ritmo e dalla tensione più marcati, L’estraneo (non particolarmente amato da Lovecraft, che lo riteneva troppo meccanico nella costruzione della climax), il dramma della scoperta dell’identità coinvolge anche gli abissi interiori dell’uomo, portando querst’ultimo a scrutare l’insopportabile e mostruoso paesaggio della propria figura: “Appena fui sceso dal davanzale, tutte le persone all’interno della sala vennero inghiottite da un’improvvisa e imprevedibile ondata di terrore. […] Tremai al pensiero di ciò che mi strisciava attorno eppure non riuscivo a vedere. […] Non posso descrivere le sue fattezze con precisione, perché era un insieme di tutto ciò che è sporco, anormale, inNaturale e detestabile. Un bestiale obbrobrio di putrescenza decrepita e corrosione” (p. 65).

All’interno della seconda parte del volume, spicca il bellissimo Il segno giallo di Robert William Chambers, autore ammirato da Lovecraft: qui il sogno, la quotidianità e un libro magico contribuiscono a creare un racconto straordinariamente semplice ed emozionante: “Stavamo parlando da qualche tempo – un discorso teso, pesante e monotono – quando mi resi conto che stavamo discutendo del Re in Giallo. Oh, quanto è profondo il peccato di chi ha scritto quelle parole: parole chiare come cristallo, limpide e musicali, simili a fonti gorgoglianti, parole luminescenti come i diamanti avvelenati dei Medici! Oh, la perfidia, la dannazione senza speranza di un’anima che poteva affascinare e paralizzare creature umane con tali parole. Parole comprese dal saggio e dall’ignorante, parole più preziose dei gioielli, più rassicuranti della musica, peggiori della morte!” (corsivi nel testo, p. 124).

Altrettanto coinvolgente risulta la lettura di Segugi di Tindalos di Frank Belknap Long, discepolo e amico di Lovecraft. In questo racconto, il protagonista, Chalmers, assumerà una potente droga, a suo dire in uso anticamente in Oriente, al fine di comprendere la quarta dimensione.

Non solo agli appassionati del genere (horror o horror bizzarro), questo libro offrirà lo spunto per cogliere la reale misura umana rispetto al tutto, cioè anche all’invisibile.

Scrive infatti Lovecraft in una lettera citata nella terza parte del volume: “La prospettiva antropocentrica è impossibile per me, perché non riesco a far mia la primitiva miopia che ingrandisce la Terra e ignora tutto il resto” (p. 190). 

 
 
 

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