I giorni del vino e delle rose è un graphic novel uscito per Valigie Rosse nel luglio del 2016: Diego Bertelli ha scritto i testi, Silvia Rocchi li ha illustrati e Gianni Niccolai ha composto una colonna sonora originale ispirata all’opera.
Opera dalla genesi curiosa, svelata nei Bonus tracks finali: Riccardo Bargellini, grafico della casa editrice che ha dato alle stampe il libro, ritrova a distanza di sedici anni una fotografia che lo ritrae con Steve Wynn, cantante dei Dream Syndicate. Il reperimento porta l’autore non solo a riascoltare il primo disco del gruppo, The days of Wine and Roses, ma anche a scoprire che nel 1963 Blake Edwards aveva girato un film col medesimo titolo; e che il film deve a sua volta titolo e atmosfere a una poesia di Ernest Dowson.
Questo episodio nel quale coesistono due percorsi in direzioni in qualche modo opposte (si aggiunge scoperta a scoperta, dunque aumenta il piano della conoscenza; eppure il prezzo è un allontanamento verso coordinate spazio-temporali sempre più remote, sempre più ignote) crea un senso di malinconico spaesamento restituito con abilità da Diego Bertelli e Silvia Rocchi.
Scegliendo di non soffermarsi sul secondo dei tre momenti, quello nel quale la fotografia è stata scattata, autore e illustratrice partono dal tempo presente, che occupa le prime pagine del volume: il protagonista, stimolato dalla foto che neppure si ricordava più di possedere, ingaggia un corpo a corpo con se stesso attraverso una serie di domande in cui mette a confronto (e a nudo) la propria vita attuale e quella di allora, tra interrogativi esistenziali e concessioni all’autocompiacimento: “Te la sei dimenticata perché non ti piacevi, avresti voluto una faccia perfetta e invece avevi una faccia qualunque”, p. 9.
Il ragionamento evolve e, grazie anche alle parole delle canzoni dei Dream Syndicate e delle poesie di Ernest Dowson, da narcisistico si fa universale. La propria solitudine, la propria irresolutezza diventano emblematiche della condizione umana: in ogni esistenza, l’unica continuità sembra essere garantita dalle cose che, giorno dopo giorno, si perdono senza possibilità di recupero. E tutti, intenti a cercare ciò che hanno smarrito, non sanno più riconoscere gli altri: “Qualcosa mentre scendevo le scale mi è passato a fianco per sempre. C’era gente, tutti facevano qualcosa, ma non erano loro. Qualcos’altro è mancato, un nome, insieme a una persona che non potrai più chiamare”, p. 18.
Il tratto nervoso dei disegni di Silvia Rocchi (le cui tavole paiono tutte realizzate con urgenza, violenza e come incompiute, quasi che l’imprendibilità e la fuggevolezza della vita impedissero rappresentazioni finite) accompagna mirabilmente il lettore in questo viaggio verso i confini oscuri del mondo. (altro…)