Rizzoli

Gridalo forte

 
 
 

Nel 2013 Amos Edizioni ripubblica in una nuova traduzione a cura di Silvia Mondino l’imperdibile romanzo di James Baldwin Gridalo forte, apparso per la prima volta in Italia nel 1966 per i tipi di Rizzoli, tradotto da Aldo Buzzi, e successivamente non più edito.

Il libro, in cui la narrazione si muove tra presente – una sola giornata, un sabato di marzo del 1935 a Harlem – e molteplici passati, è strutturato in tre parti. 9788887670363

Nella prima, intitolata Il settimo giorno, il racconto ruota attorno al protagonista, John, un ragazzino nero di quattordici anni oppresso da una figura paterna violenta e rigida, Gabriel Grimes, diacono capo di una chiesa del quartiere. Nel capitolo si leggerà del giovane, destinato a un futuro di predicatore anch’egli, e del suo rapporto con i fratelli, tra cui spicca lo scavezzacollo Roy, e con l’odiato Gabriel e la madre Elisabeth.

Nella seconda, Le preghiere dei santi, la terza persona narrante ripercorre, invece, il passato drammatico delle figure adulte della famiglia di John, legate l’una all’altra – e al ragazzo – da antichi segreti, mentre esse sono riunite a pregare in chiesa insieme al giovane per la funzione serale: attraverso mirabili ritratti, il lettore entrerà nella vita della combattiva zia Florence, nella storia dai tratti torbidi di Gabriel e nella nostalgia della mite Elisabeth, che rimpiange un amore perduto.

Infine, ne L’aia, si compirà la formazione di John mediante un evento straordinario che porterà il ragazzo al centro dell’attenzione proprio all’interno della chiesa, il “Tempio del battesimo del fuoco”, p. 16.

Ciò che immediatamente sorprende di questo romanzo che avvince il lettore dalla prima all’ultima pagina, è senz’altro un ritmo assai teso, privo di cedimenti, percepibile in maniera evidente nell’ottima traduzione.

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Il nuovo corso

 
 
 

“In una remota città di provincia d’un paese che potrebbe anche essere il nostro […] il 5 ottobre d’uno di questi recenti anni” (p. 27) accade un fatto singolare: le cinquemila copie de La verità (organo dell’unico partito esistente e unico quotidiano distribuito) destinate a quella città, riportano la notizia dell’avvio di un non meglio specificato nuovo corso all’insegna della “definitiva libertà” (p. 28).

Così inizia Il nuovo corso, romanzo di Mario Pomilio dalla vicenda editoriale indubbiamente composita: uscì nel 1959 per Bompiani, poi per Rizzoli nel 1969, per Rusconi nel 1979, per De Agostini (in edizione scolastica) nel 1982, per Mondadori nel 1990, e oggi viene riproposto da Hacca (settembre 2014).

Alessandro Zaccuri, nella prefazione, rinviene suggestive analogie tra l’atmosfera del libro e la rivoluzione ungherese del 1956, di poco precedente alla stesura del testo (e ci ricorda che verità è traduzione italiana di Pravda); e nella postfazione Mirko Volpi individua, altrettanto acutamente, alcune ascendenze letterarie, Alessandro Manzoni e Albert Camus su tutti.HACCA_pomilio_OKMC_18mm

Eppure, al di là di questi agganci alle realtà politica e culturale, Il nuovo corso pare anzitutto un’impietosa ricognizione sul rapporto tra l’uomo e la libertà.

Pomilio ci presenta una serie di formidabili esemplari umani, ciascuno dei quali reagirà in modo personalissimo (ed emblematico) a questo presunto nuovo corso.

Primo a comparire è Basilio, “il più noto dei giornalai della nostra città” (p. 31), a cui la notizia procurerà attimi di smarrimento (“si sentiva sbalestrato e avvertiva, per la prima volta nella sua vita, per la prima volta acuto e tormentoso, un chiuso sgomento del futuro, una paura folle di sbagliare”, p. 36), altri in cui perderà di vista i termini della questione (“Più cercava che cos’era veramente la libertà, più gli capitava come quando si sbuccia una cipolla, che uno crede d’arrivare al bulbo e non trova altro che nuovi strati,” p. 37), altri ancora nei quali rimpiangerà la condizione precedente: “In fondo, era necessaria? A che serviva, la libertà? Non si viveva a meraviglia già prima, e se non proprio sereni, in pace gli uni con gli altri, visto che ad esserlo bastava tanto poco, bastava in pratica far finta d’avere le stesse opinioni che mostravano d’avere gli altri, e scoprire un motivo di reciproca simpatia, se non nella concordanza di quelle opinioni, almeno nell’intesa creata da quella finzione?” (p. 44).

Pomilio, inoltre, utilizza alcune scene di raccordo per descrivere con sarcasmo la cittadinanza (ma qui calzerebbe la parola massa), che si impossessa della libertà banalizzandola: “il nuovo corso divenne il pretesto per una di quelle rare giornate di suprema spensieratezza in cui pare che ci si precipiti a vivere esclusivamente nel presente e il fatto d’essere in tanti a condividere la medesima gioia sembra renderla più sicura, più fraterna e più dolce”, p. 67. (altro…)