Come presentare Grande nudo, terza prova letteraria di Gianni Tetti, uscita nel dicembre del 2016 per Neo Edizioni come i precedenti I cani là fuori (2009) e Mette Pioggia (2014, recensito su questo blog)?
Un modo potrebbe essere quello di dare conto, almeno schematicamente, della fitta e articolata trama che si sviluppa lungo le quasi settecento pagine del romanzo.
Un altro, quello che maggiormente sazierebbe il narcisismo del lettore, prevederebbe di ingaggiare una sorta di sfida all’intelligenza e alla sensibilità dell’autore, intercettando il maggior numero possibile di suggestioni, piani metaforici, rimandi alla contemporaneità, debiti con la tradizione letteraria eccetera, disseminati nell’opera.
Entrambe le strade sarebbero tuttavia impervie, non fosse altro che per l’ampiezza di Grande nudo.
Rimane ancora un modo, forse il più onesto: provare a riportare le impressioni suscitate da questo libro abnorme, complesso, diseguale, magari non completamente riuscito ma di certo coraggioso, prepotente, oltranzistico.
Ci troviamo in un futuro appena prossimo o più probabilmente in un presente alternativo; in un luogo sì indeterminato geograficamente ma che – grazie soprattutto a una serie di parole e locuzioni utilizzate ora da alcuni personaggi ora dalla voce narrante – non è azzardoso individuare in Sassari.
A muoversi è un’umanità che solo frettolosamente si potrebbe definire disperata; perché a guardar meglio le vicende dei principali protagonisti del libro, tra loro sempre più intrecciate col procedere della lettura, ci si accorge che si tratta di un manipolo di individui i quali – chi per scelta chi per altrui coartazione – si trovano di fronte all’irreparabile.
È come se in Grande nudo fosse stata abolita ogni misura: non solo qualunque limite di gusto e qualunque freno morale, ma pure tutti i ripari del mondo; e allora il titolo rispecchia fedelmente l’atmosfera di questa storia corale in cui pare che nessuno abbia la possibilità di trovare – in un luogo, in un altro essere, in un gesto, neppure nella memoria o nel desiderio – consolazione. Ecco perché si è detto che l’ambientazione, più che un futuro prossimo, fa pensare a un presente alternativo. (altro…)