Galaad Edizioni

Liguria, Spagna e altre scritture nomadi

 
 
 

Uscito nel settembre del 2015 per Luigi Pellegrini Editore con una premessa di Giuseppe Panella, Liguria, Spagna e altre scritture mobili raccoglie sei testi di Marino Magliani e due di Riccardo Ferrazzi, autori che hanno già lavorato assieme come traduttori de Il molino a vento e altre prose (Galaad Edizioni), recensito su questo blog.

Dei sei racconti di Magliani, particolarmente persuasivo è il primo, La valigia. La narrazione altro non è che la lettera di risposta di un sanremese a un amico scrittore, curioso di recuperare alcuni ricordi dell’infanzia comune e di sapere che fine abbia fatto una certa valigia. Ciò dà modo al redattore della lettera, scrittore anch’egli ma per diletto, di comporre un testo pieno di vivacità, nel quale il ricordo del passato è sempre al riparo dal rischio della retorica.

L’amico scrittore, infatti, viene rievocato con un’affettuosità misurata, che non impedisce di far riaffiorare anche suoi antichi difetti e limiti (“tu non eri mica un gran nuotatore, secco come un’anguilla, stavi sempre attento che non ti facessimo bere”, p. 23). Non appena indulge a un complimento, il sanremese vi giustappone una nota critica o sarcastica. Non per malignità ma per copertina_fontana_zolasenso di onestà ed equilibrio: “Passo davanti alle librerie e se in vetrina vedo il tuo nome, entro e lo compro, e sono i soli soldi che spendo in libreria, te l’ho detto, e su questo credo che tu non abbia dubbi. Ma poi non li finisco mica, stanno dei mesi sul comodino, i tuoi libri mi hanno sempre fatto addormentare”, p. 27.

Un atteggiamento altrettanto sincero, l’autore della lettera lo adotta nei propri stessi confronti: “Sbagliavo. Come sbaglio ora che ti rispondo e non ti rispondo perché tu vuoi sapere la verità sulla valigia, mentre a me interessa semplicemente sapere come scrivo”, p. 24.

Nelle righe finali della missiva, si crea un corto circuito che suscita tanto il riso quanto la commozione: l’autore imputa all’amico di avere adoperato a sproposito, in un suo libro, alcuni termini; salvo poi invitarlo a restare in contatto e trascorrere del tempo insieme: “E quando parli di aprico e opaco, ma ti rendi conto che non dici niente: tutto, mica solo in Liguria, è opaco o aprico […] Bene, amico mio, dimentica la valigia, e dimmi se vuoi che ti mandi qualche ricordo che ho io di quando andavamo a nuotare e pescare le anguille che ingrassavano negli scogli dei mulini. Io sono in pensione, di tempo dovrei averne, anche per venire a Torino e prendermi una camera di albergo e mangiarci un bollito da qualche parte nelle trattorie Lungo Po”, p. 28.

Nella postfazione, Magliani svelerà il nome dello scrittore (già facilmente intuibile leggendo il racconto). Eppure ciò non aggiunge nulla a queste belle pagine, in cui il movimento della memoria non è mai appesantito (né dunque mai falsificato) dall’illusoria trasformazione del passato in un tempo mitico, a prova di errore.

La medesima valigia farà nuovamente parlare di sé nel racconto Il bradipo gigante di Mary Susanne, un’altra storia di affetti e malinconia, nella quale la protagonista, un’archeologa tedesca, torna in Liguria da Leo, amico di vecchia data col quale rievocherà Gregorio, morto anni prima in un incidente stradale. Per Mary Susanne, l’irriconoscibilità del paesaggio è sintomo dell’impossibilità di riappropriarsi del passato: “Mentre aspetta l’autobus per Sorba, [Mary, n.d.r.] guarda il vuoto sul mare e si accorge di non ritrovare più neanche i colori. C’è un gigantesco porto turistico […] dove un tempo nuotava”, pp. 31-2. (altro…)

Il molino a vento e altre prose

 
 
 

Curato da Riccardo Ferrazzi, qui anche traduttore assieme a Marino Magliani, Il molino a vento e altre prose (uscito per Galaad Edizioni nel marzo del 2015) contiene alcuni brevi testi di tre autori spagnoli vissuti tra Otto e Novecento che solo a prima vista sono stati bizzarramente giustapposti.

Di Gabriel Miró, cesellatore di una raffinata prosa poetica di ispirazione dannunziana, possiamo leggere cinque brevi Ritratti di campagna e quattro brani altrettanto brevi tolti da La conchiglia del faro.

Seguono L’articolo di fondo e Il rompicapo, due racconti scritti da Benito Pérez Galdós con ampie concessioni al virtuosismo.

Chiudono il libro il racconto Vendetta moresca e quattro Schizzi della Costa Azzurra, che svelano un’inconsueta inclinazione di Vicente Blasco Ibáñez alla narrazione asciutta.

Si tratta dunque di tre voci diversissime tra loro eppure tutte ugualmente sicure, al servizio di mondi narrativi governati con una sapienza quasi compiaciuta.copMolino

Ma cosa accomuna, al di là delle coincidenze geografiche e cronologiche, queste tre scritture?

Seguiamo l’ordine di apparizione dei testi. Gli aggraziati paesaggi descritti da Miró nei Ritratti di campagna sono attraversati dall’inquieta figura di un viandante, presentato da una sinestesia che ne restituisce efficacemente la natura fantasmatica ed errabonda: “Lungo il sentiero si avvicina un viandante. Per un bel po’ si sentono i passi delle sue scarpe di corda; lo si ascolta fermarsi a guardare il sentiero, la distanza ancora da percorrere. Il sole, lo sfondo azzurro, e in mezzo una gloriosa nube bianca”, pp. 15-6.

Ne La conchiglia del faro, invece, a destabilizzare lo sviluppo dell’azione provvede lo stesso io narrante, che in più di un passaggio sembra come estraniarsi da sé, sdoppiarsi: “Le luci di una nave ci fanno palpitare come un bacio. Le attendiamo quasi per assaporare l’amaro di vederle sparire. Sono io quello che aspetta, eppure mi pare di essere io l’atteso”, p. 45; “Nella mia camera da letto la notte tornò ad accarezzarmi la pelle. La notte o la sensazione di me stesso. Non avevo preso un impegno con me stesso per quando sarei andato a letto? Be’, ero lì, e mi aspettavo”, p. 51. (altro…)