di Elena Soprano
Greta era quella che Emma avrebbe voluto essere. Eterea e con senso dell’umorismo, bella nell’essenziale, senza alcun problema tecnico con Mozart. E i suoi esami in conservatorio sostenuti con la naturale semplicità di chi fa quello per cui è nato. Voti eccelsi e nel frattempo il liceo classico.
Gli esami di Emma invece fatti sgobbando, ogni volta con un principio di tachicardia e la sensazione di essersi imbarcata sulla nave sbagliata, i voti poco più che sufficienti e la scuola superiore una di quelle dove poi l’università la puoi anche non fare.
All’ultimo esame prima del diploma, lei, inizia anche composizione. E tutti i compagni di corso comuni mortali che pensano: “Minchia, la Greta!” La si immagina in un futuro di sale da concerto in Germania e in Australia, in prime esecuzioni assolute di suoi pezzi a New York.
Nel turbinio dell’adolescenza si perdono. Emma ha il suo momento di gloria e liberazione quando alla fine di una lezione dice all’insegnante: «Guardi, qui mi sento sul Titanic, mi fiondo sulla prima scialuppa che c’è».
È un mattino di pieno inverno di un 31 dicembre senza un piano A e neanche un piano B. Il chitarrista che frequenta è un turnista di studio e di affetti, e questa notte la session non è a casa sua. Nell’instabilità delle sue relazioni Emma ha capito che l’unico punto fermo è l’assenza degli uomini alle feste da calendario.
La sua amica K si è involata a Berlino a fare il cervello in fuga dormendo sul divano di un amico film maker. Per la serata potrebbe accettare l’invito della sua portinaia Carmela. Napoletana, ha undici fratelli e la notte di Capodanno la fanno sempre al ristorante. Ne affittano uno per stare in famiglia: un centinaio di persone tra cugini e nipoti. Ci penserà all’ultimo.
È fuori dalla sua zona, ha pranzato col direttore di un mensile specializzato in architettura. Fa un giro nei pressi, tra gente che si affretta per gli ultimi acquisti prima del cenone e bar che anticipano gli aperitivi. Trova un negozietto di roba niente male, vende abiti usati di tutti i tipi e non solo vintage.
C’è una donna di spalle, i capelli corti biondo sabbia, una maglia di ciniglia verde acqua e dei jeans larghi, sformati, Clarcks beige. Una al di fuori da qualsiasi trend. Sta parlando al telefono, sta dicendo qualcosa su delle tende usate: – No, mi spiace, qui non possiamo venderle… Ha provato alla Caritas?
È allora che la riconosce dalla voce, dal suo timbro pieno, ma leggero, dalla risatina a metà frase quasi fosse una congiunzione. Greta non ha mai dato importanza all’aspetto esteriore, mai un filo di trucco, mai indossato qualcosa che fosse alla moda. Ora ha un look che si nota per la troppa mancanza di importanza che gli è stata data.
– E i tendoni di velluto grigio della Merri per insonorizzare ogni slancio di fantasia? – fa Emma.
– Ma no! – esclama Greta girandosi e ridendo.
Baci e abbracci, in un nano secondo si ritorna all’epoca dei brufoli gialli alla base delle narici, del seno all’improvviso imbarazzante, dei troppi peli sulle gambe per mettersi gli shorts, dei primi mestrui da gestire col terrore di macchiare il letto. L’epoca dove la natura con la sua pelliccia e le sue ghiandole mammarie prende il sopravvento e confonde. Poi il pensiero: “Ma non doveva essere a Melbourne o a Boston?”. E mentre parlano realizza che Greta non è una cliente del negozio, ma la commessa.
– E la musica? – le esce di botto.
– Eh, adesso è un po’ difficile, con quattro figli.
– Quattro?
Ride. La sua risata cherubina, che sembra uscire da una nuvola, ha sempre reso tutto più sopportabile. Sì, dai ventidue ai trenta ne ha fatti quattro. E le racconta in moviola qualcosa di sé. Abita in una cascina insieme ad altre otto famiglie. Una comune, ogni famiglia dà una quota mensile per le spese di bollette e affitto, ognuno dà quel che può. Nessuno si sente obbligato, tutti collaborano. Non è qui da molti anni, è stata in Burundi, i primi tre figli sono nati là. Ha quasi rotto con i suoi genitori quando come regalo di matrimonio ha chiesto a tutti di fare un’offerta per l’ospedale del paese di Karusi, dove poi si sarebbero trasferiti.
– Sai che coi soldi risparmiati là abbiamo comprato diciassette letti e allestito tutta la nursery?
“Minchia, la Greta!” vorrebbe dire la Emma. Chiede invece del marito.
– È stata antipatia a prima vista, lui fa sempre questo effetto.
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