Francesca Reboani

In autostrada, ubriaco, di notte

 
 
 
di Giovanni Locatelli
 
 
 
 

In autostrada, ubriaco, di notte, di ritorno da un appuntamento di lavoro saltato, dopo tre tequila tracannate nell’attesa in un bar di periferia, dico tre perché poi ho perso il conto, fuggo dalla polizia alla guida di un carro funebre.

Tutto è cominciato mentre sorpassavo un camper e ho visto di riflesso una donna vibrare due colpi con un coltello insanguinato. Viaggiavo da alcune ore e avevo già rubricato la giornata nella normale amministrazione, rassegnato all’andazzo, guardandomi attorno per seguire le giravolte del mondo ebbro, per evitare di diventare preda dei fantasmi che mi agitano quando sono fradicio, faccio l’head-hunter, il cacciatore di teste, di mestiere, per le multinazionali, me ne intendo di fantasmi e alle volte sono loro a venirmi a cercare, e mi ero accorto che la tenda di pizzo del finestrino laterale del camper era aperta: una sbirciatina nell’altrui intimità, ho pensato, che c’è di male, come quando si cammina per strada e si guarda nelle finestre a pian terreno dei palazzi a ridosso del marciapiede nella speranza che una donna si stia cambiando il reggiseno – non sono un maiale, né mi è mai capitato, ma mi piacerebbe molto – invece sbam! ho osservato la macabra scena di un omicidio, la lama affondare nella carne, il tavolo instabile cedere al colpo, i cassetti della cucina che non restano più chiusi rimbalzare avanti e indietro, il piano cottura incrostato e arrugginito macchiarsi di scarlatto, continuo a rivivere la sequenza, tutti quei particolari in pochi secondi di sorpasso, mi viene persino il dubbio che si sia trattato di un’allucinazione.No, diamine, non poteva trattarsi di un’allucinazione, la figura si è voltata un secondo, era pallida e aveva un viso bellissimo, i capelli lunghi, neri, un naso dritto, due labbra diafane. Indossava una tunica candida e il suo corpo pareva rarefatto, senza densità: era la donna della mia vita.

All’ultimo si è accorta che la stavo osservando, ha assunto un’espressione fredda e folle allo stesso tempo, io ho lanciato un grido terrorizzato eccitato, poi ho sbandato, riprendendo subito il controllo, ma le linee di carreggiata si muovevano troppo velocemente, biforcandosi di continuo, avrei avuto bisogno di un’altra tequila per fermarle o il guardrail mi sarebbe venuto addosso.

Il primo pensiero è corso all’autista: avrà capito che volevo tagliargli la strada? O avrà immaginato che fossi ubriaco? Era al corrente di quel che stava accadendo alle sue spalle? Era complice dell’assassina o avrebbe a sua volta ricevuto il colpo letale, di lì a poco? Ne rivedevo l’espressione, osservata un secondo prima di sbandare, il suo vestito nero, i suoi occhiali scuri, nonostante il buio: sembrava proprio un becchino ed era l’unico ostacolo fra me e la felicità.

Poi ho pensato di chiamare la polizia, ho composto il numero e ho atteso che rispondessero, per sviare le indagini, ma non ho fatto in tempo a prendere la linea. Alla prima piazzola di sosta mi sono dovuto fermare e ho vomitato nel prato – fra un sacchetto di plastica, i bisogni di un cane e un ciuffo d’erba secca, ma forse era il sacchetto che conteneva secca merda canina – ho vomitato tre volte, dico tre perché poi ho smesso di contarle, per lo più alcol, ma anche pezzi di cibo.

Mentre ero ancora piegato dai crampi, ho visto il mezzo rallentare, accostarsi alle mie spalle e ho temuto per la mia vita.

Ora quel coltello è piantato nella pancia dell’autista, la donna con la tunica è seduta sul sedile passeggero, ma non ha ancora aperto bocca e io sono alla guida di un mezzo che è diventato a tutti gli effetti un carro funebre.

La polizia ci sta inseguendo, vedo i lampeggianti avvicinarsi, sento urlare le sirene: avrei proprio bisogno di un sorso di tequila per fermare le mani che tremano, ma sarebbe deleterio: ci raggiungeranno presto e a quel punto il tremore mi farà gioco, sembrerà terrore. La mia intenzione è dichiararmi ostaggio. La donna con la tunica potrebbe dire la stessa cosa, se si decidesse a risorgere. Come in uno stallo alla messicana, benedetta tequila, senza non avrei mai risolto la matassa, siamo tutti ostaggi di un cadavere, compreso il caravan, e persino la luna, sì, questa luna piena, spietata, che illumina a giorno lo spiazzo, un gigantesco occhio di bue puntato su di me, sul mio vomito, sul sangue del tizio e sul sacchetto, qualunque cosa contenga.
 
 
 

Giovanni Locatelli (Gio Diesis su FB e IG), ingegnere e scrittore (e musicista), viaggiatore che ha perso o mancato qualcosa, o forse non esattamente perso… più come se stesse aspettando qualcosa, cowboy a cui non è stata data una giusta chance, a cui non avrebbero nemmeno dovuto darla o a cui dovrebbero dargliene un’altra. (cit. Malcom Lowry – Sotto il vulcano).

 

Illustrazione originale di Francesca Reboani.

 

Francesca Reboani (francescareboani su FB e IG), scenografa e illustratrice (e grafica), viaggiatrice il cui occhio ripudia il comandato, l’acquietante, il conclusivo, il facile, dimentica di tutto se non che questo mondo è senza limite e senza speranza ed è bene quindi non apprendere. (cit. Anna Maria Ortese – Il porto di Toledo).