“Ascolta: perché abbiamo conosciuto il mutamento e lo scintillare delle forme, perché abbiamo visto tante cose andare e venire, e udito parole dimenticate e così tanti nomi avvampare nel fuoco della celebrità e subito distrutti […]” (p. 70).
Così scrive Thomas Wolfe in Nessuna porta: una storia del tempo e dell’erranza, primo dei quattordici racconti compresi nel bellissimo libro Dalla morte al mattino, pubblicato nel 2014 da CartaCanta editore e ben tradotto e curato da Jacopo Lenkowicz.
Uscito originariamente nel 1935 per i tipi di Charles Scribner’s Sons di New York, il libro è la testimonianza di una scrittura incollocabile in un unico genere e bramosa di raggiungere totalità e particolari, di dire paesaggi e umanità, di mostrare ricordi e dialoghi, di cantare e di creare vividissime descrizioni.
Avido di vita è anche il narratore del racconto su citato: “Volevo semplicemente conoscere tutto, e impazzivo quando mi rendevo conto di non poterlo fare. Nel bel mezzo di un furioso parossismo di letture all’interno dell’enorme biblioteca, il pensiero delle strade là fuori e della grande città mi trafiggeva il corpo come una lama. Ora mi sembra che ogni secondo passato sui libri sia stato sprecato – che in quel momento qualcosa d’impagabile, di irrecuperabile stava accadendo nelle strade, e se solo avessi potuto raggiungerlo in tempo e vederlo mi si sarebbe in qualche modo chiarito tutto quel che avevo dentro – la sorgente, il pozzo, la fonte da cui sgorga ogni uomo, ogni parola, ogni azione e ogni trama di questa terra” (Nessuna porta: una storia del tempo e dell’erranza, pp. 31-32).
In questa raccolta il ritmo è capace di respiri lunghi in cui gli elementi fluiscono l’uno nell’altro, quasi che l’essere delle cose non corrispondesse al loro centro ma al loro incessante attraversare ed essere attraversate.