
Deriva e Le regole di questi mondi (Regole da qui in avanti) sono due raccolte di racconti uscite a un anno di distanza che dialogano in maniera esplicita, collegate da affinità stilistiche e da un impianto teorico comune, ma anche da intere locuzioni riportate pressoché identiche in entrambi i lavori quali, ad esempio, l’immagine di uno sciame di efelidi sulla pelle (Deriva, p. 75 e 137; Regole, p. 106) oppure la descrizione di sé stesso come di un entità diffusa (Deriva, p. 91; Regole, p. 32).
Viene spontaneo allora parlare di entrambi i libri nella stessa recensione, come se fossero uno l’emanazione – sequel? prequel? spin off? – dell’altro. Ma quale uno? Quale altro?

1 è ambientata in un albergo destinato a un solo ospite “…anche se di tutti i colori. Chissà, forse avrò occasione di raccontarle dell’uomo che aveva solo il sesto senso, della donna che salvava il mondo tre volte al giorno […], del tizio che viveva nel milletrecentodue e la cosa le assicuro era contagiosa” (Deriva, p. 35). Gambino è un ospite-parola, così definito poiché apparso in una frase, e dialoga con Filomena, la padrona di casa, una donna-luogo pronta a ospitarlo in tutti i sensi.
2 racconta la difficile relazione tra un personaggio senza nome affetto da scomodissime paralisi intermittenti e Sofia, la creatura aliena già incontrata all’inizio di questa recensione, in un mondo post-apocalittico in cui è obbligatorio uscire di casa per socializzare.
3 è un manuale tecnico-scientifico contenente le istruzioni per operare il parto cesareo alle alture, colline e montagne, incisione necessaria a favorire la “nascita di quella che in gergo è chiamata Filomena” (Deriva, p. 100).
Ventotto invece i racconti della più recente raccolta, suddivisi anch’essi in tre parti: Tema della soglia, Tema del corpo dello spazio del tempo, Tema della parola.
Del Tema della soglia abbiamo già detto. Nella sezione Tema del corpo dello spazio del tempo troviamo Bì, lavoro comparso a suo tempo in questa rivista come inedito, dove è il pianeta Terra, e non sono le colline di 3, a partorire una creatura, un bebè mostruoso capace di inghiottire l’intero Oceano Atlantico.
L’accostamento corpo/luogo è uno degli spunti più interessanti delle due opere, in grado di rompere equilibri e consuetudini, di disorientare il lettore ingenerando un senso di straniamento: “…sempre meno controllo del mio corpo di qualcun altro, muovendoci e muovendomi mi urto mi uso ho continui dolori ai fornelli, ai piedi, alle pareti e agli interruttori, continui e più intensi; una sensazione di tubature come ossa e di me come?” (Regole, p. 32) dice il protagonista di Uscire dentro, mentre Filomena si lamenta di un problema simile: “…se cadevo mentre l’effetto del farmaco andava scemando il dolore era doppio: quello del mio corpo a terra, quello della mia terra a corpo: ci cadevamo incontro” (Deriva, p. 103).
Il desiderio dei personaggi, che è anche un destino, di entrare a far parte del paesaggio non può però essere realizzato senza il tramite delle parole e la consapevolezza che anche le parole sono luoghi. “…un luogo è anche una persona, voglio dire che una persona è anche un luogo, io sono un luogo, un linguaggio è di sicuro un luogo e viceversa, […] e le singole parole? Pure le parole” (Deriva, p. 106).
Al tema della parola è dedicata la terza parte delle Regole. L’universo di Sperduti non è composto da atomi letterari necessariamente comprensibili: si percepisce l’esistenza di regole, ma parafrasando il famoso principio di indeterminazione di Heisenberg, meglio si conoscono le regole, peggio se ne potranno comprendere le cause o gli effetti. “…la porta sarà chiusa, io al buio e lei di là oltre il rettangolo di luce, quando non potrò più alzarmi a controllare la mia Anna di Schroedinger e io non sarò più in alcun modo se non diffuso” (Regole, p.32).
(altro…)