Can che dorme

Can che dorme

 
 
 

Ripubblicato nel 2015 dalle Edizioni Clichy nella traduzione di Tania Spagnoli, Can che dorme è un appassionante romanzo di Françoise Sagan, apparso per la prima volta in Francia nel 1980 per i tipi di Flammarion.

Protagonisti delle vicende sono il giovane Gueret e l’affittacamere Madame Biron, le cui vite saranno destinate a cambiare e a essere legate l’una all’altra a causa di un equivoco.

SAGANCANECopertinaSingolaGueret, anonimo impiegato particolarmente disprezzato dal suo superiore Mauchant, mentre percorre – in compagnia di un cane che ogni sera decide di seguirlo – la via che dalla ditta Samson lo conduce al suo alloggio, la pensione familiare “«Les Glycines»” (p. 14), un giorno rinviene dei gioielli sotto un cumulo di carbone.

“Nel pomeriggio aveva piovuto, e un sole umido faceva risplendere l’acciaio e i mattoni del paesaggio mentre Gueret camminava con passo rapido, il passo di un «uomo efficace» pensò. A dire il vero, camminare velocemente gli toglieva la possibilità di scegliere i suoi gesti, di sistemare le sue mani; camminare velocemente gli faceva sopprimere ogni spaventosa libertà da bighellone, lo sgravava da se stesso, dal suo grosso corpo infelice – o che comunque sentiva come tale fin dalla pubertà”, pp. 11-12.

Tuttavia, dopo l’iniziale entusiasmo ed euforia alla vista di una ricchezza immeritata e ingiustificata che lo coglierà impreparato, e lo farà sentire anche un po’ colpevole non appena se ne sarà impossessato (“Era ricco! Lui, Gueret, era un uomo ricco!”, p. 13), ecco che il giovane, una volta al sicuro dalla strada e dagli sguardi indiscreti, dovrà financo sostenere la figura ostile di Madame Biron, che al suo ingresso nella casa gli si presenterà di schiena e intenta alle faccende.

“[…] la schiena di una donna magra, energica, dai capelli neri e lucenti che, quando si voltava verso la porta, mostrava un volto del tutto inespressivo, inanimato, che ne aveva viste di cose in cinquanta o sessant’anni e che ne era rimasta spesso disgustata, un viso serio in cui stonavano degli occhi intelligenti, avidi, degli occhi che stonavano anche con il grembiule nero, gli scarponi e l’aspetto sciatto che si era visibilmente imposta. […] La donna gli lanciò un’occhiata sprezzante, stanca, e rispose al suo «Buonasera» seccamente”, pp. 14-15.

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