Da quaranta giorni mangio lì, stando attento a non arrugginirmi come i chiodi che fuoriescono dalle assi marcite. Da quassù è davvero minuscola. Ogni tanto la guardo, mentre aspetto che la carrucola faccia scendere i calcinacci per risalire leggera. Quando volto le spalle alla panchina, non soltanto il suo verde sbiadito scompare, ma anche quello cangiante del viale alberato che la ospita, spezzato in due dalla strada ferrata.
La linea è stata elettrificata da poco. Dicono che i treni si sentano più di prima e siano più puntuali della campana del convento, che si trova a poche decine di metri. Ogni ora c’è un treno che arriva da sud e uno che arriva da nord. Non si incrociano, perché il binario è unico. Si alternano, l’uno cinque minuti prima, l’altro cinque minuti dopo lo scoccare dell’ora. Dalle sei alle venti, tranne il sabato e i giorni festivi.
Per la strada ferrata oggi non è un giorno feriale. Per noi sì. Lavoriamo anche il sabato pomeriggio.
Stare in alto, lontano dagli altri, mi aiuta a respirare per decidere.
Quanto ai condòmini, oppressi dall’impalcatura, da quassù vedo minuscoli anche loro. La vedova novantenne, per esempio, che abita nell’attico accanto a quello del figlio. Dicono non lo faccia mai entrare in casa. «Solo le amiche» ribadisce spesso, «altrimenti l’oro sparisce». Dicono ne indossi più che può, per sicurezza, tintinnando felice anche in casa. «È la mia migliore cliente» dice il parrucchiere, che per mesi non parcheggerà davanti all’ingresso del suo negozio, ma accanto al bar.
Non è da molto che ha rilevato l’attività e sembra uno di poche parole. Mi ha invitato più volte a pranzare con lui al bar, per non subire da solo i modi troppo espliciti della barista. Pare che non se la sia presa se non ho accettato, ma, si sa, la gente è brava a fingere. Lui è del genere astuto, se è vero che ha impedito a una delle sue collaboratrici di aprire un salone estetico al di là della strada ferrata. «Da salone estetico a farmi concorrenza è un attimo».
Dicono che il parrucchiere non sempre finga, ma con me lo fa di sicuro, perché di quelli che vengono da un altro territorio non si fida. Finge di essermi amico perché – l’ho detto – gli servo a tenere lontana la barista, che cammina come fosse la figlia che la vedova novantenne non ha: stessi tintinnii, stessi capelli neri, stesso volto spigoloso e coperto di cipria, stessa borsetta sempre in mano.
Nemmeno lei vorrà lasciare l’oro ai figli, ma alle amiche tanto care? E il parrucchiere, che di figli non ne ha, a chi lascerà il salone, l’unico nel raggio di un chilometro?
Da quassù vedo la sua utilitaria. «Non ci salirò mai. Perché non ti compri una decappottabile? Mi piacciono tanto le decappottabili» ripete gridando la barista, quando tutti chiudono, senza passare da lei.
Chi ci passa più volte al giorno, invece, è la Tina, l’anziana con la passione per il gioco. È la proprietaria del terzo attico, chissà ancora per quanto? Come possa stare una persona sola in centosessanta metri quadri mi riesce difficile immaginare.
Ieri la vedova con l’oro è stata costretta ad alzare le tapparelle, perché ho controllato due guarnizioni.
«Veda di non sporcare e, se proprio deve, faccia in modo che io non me ne accorga. Vado al mercato con la Tina. Al mio ritorno le chiederò un favore».
«È più facile di quello che pensi, imbrogliarla. Se mi fai guardare giù dall’impalcatura, ti insegno come si fa. A imbrogliarla. Prima di tutto, però, ti converrà farle il favore che ha da chiederti».
Dicono che il figlio della vedova somigli a Gary Oldman. Dicono che un giorno abbia fatto comparire una porta fra i due attici, in deroga alla planimetria condominiale. Dicono che, tutto sommato, sia un condominio di gente onesta e rispettosa delle regole.
Chissà se ci vanno mai tutti insieme in bicicletta la domenica a guardare i panorami dal basso. Domenica scorsa, dalla bicicletta, io e mio figlio più grande le abbiamo viste alzate, le tapparelle della vedova, ed erano aperte le finestre che ora da quassù posso di nuovo solo intuire.
Domani è domenica e vorrei regalarle ancora a mio figlio più grande, che le saluterà di sicuro e mi chiederà di portarlo su con la carrucola per entrare in casa della vedova a guardare giù. Vorrei regalarle a mio figlio più grande, perché, un giorno, non si sieda su una panchina per pranzare e oltrepassi la porta che unisce i due attici in deroga ai regolamenti, come Gary Oldman che non è Gary Oldman.
Sarebbe sorprendente scoprire che anche in uno solo di questi undici appartamenti si mangiano panini tutti i giorni. In quello della ragazza che corre, per esempio. Dicono frequenti l’Università.
Ho incrociato la sua treccia un buon numero di volte. Lo sguardo lo tiene fisso sul contachilometri; penso che non le piaccia molto la vita intorno alla strada ferrata. Mi piacerebbe sapere di cosa si accorge veramente. Il suo essere sempre corrucciata si accompagna agli auricolari bianchi. Chissà se è il suono che passa da lì l’unica cosa di cui si accorge.