«Proveniamo dalla grande isola che non ha nome, […] sputati sulle rive di rena conchilifera nel Villaggio Pescatori, là dove il mare si quieta e diventa laguna» (p. 13). Si prova un sorprendente senso di familiarità nel confrontarsi con la prosa di
Mauro Tetti, nel leggere le storie, i personaggi e i luoghi raccontati nelle pagine di
Nostalgie della Terra, il nuovo romanzo dello scrittore oristanese uscito nel 2021 per Italo Svevo, raro tentativo italiano di letteratura ergodica, esito del fortunato incontro tra la veste grafica ed estetica della casa editrice triestina (solita proporre al lettore i suoi volumi con le pagine intonse) e le intuizioni coraggiose dell’autore che sceglie di mantenere nel testo, barrate, alcune parti cassate in fase di editing. Il genere di familiarità inconscia e acquisita che si avverte in certi sogni, e allo stesso tempo rassicurante come accade nei luoghi che ci appartengono in misura più intima.

Il viaggio attraverso il quale ci conduce Tetti si dipana in una dimensione sospesa, e contesa, tra l’onirico e la realtà, in un “delirio della tempesta. Della vita o della morte. Della vita tanto vicina alla morte” (p. 89) nel quale spazio e tempo sono “deformati”, perché “Quando non sei niente il tempo non è più […] in un millesimo di secondo il mondo potrebbe cadere, in una manciata di giorni sarà passato lo stesso tempo utile ai vivi per vedere l’ingresso di Andromeda nella Via Lattea” (p. 88).
Un non tempo e un non luogo, che sono tutto il tempo e ogni luogo, popolati da spettri, ombre, proiezioni della mente obnubilata del protagonista, anch’egli senza nome. L’uomo lascerà il natale Villaggio Pescatori prima diretto a Cagliari, la città verso la quale i bambini sulla spiaggia di Giorgino edificano ponti immaginari per colmare una distanza che è già metafora delle aberrazioni che lo attendono lungo il suo itinerario, per ritrovare la sua Naira, inseguendo il ricordo di un incontro che potrebbe non essere mai accaduto. Trovata la donna che aveva sognato e idealizzato per anni, presto la abbandonerà, imbarcandosi su “un vecchio peschereccio portoghese a cui era stato dato il nome di un’isola” (p. 71), con una ciurma di marinai e cercatori di fortune, reali quanto un moto di ribellione dell’inconscio che si palesa. Partiranno alla ricerca di un magico oggetto dai poteri strabilianti, seguendo le tracce sui diari e le mappe lasciate da Maddalena, la vecchia dai “segni d’inchiostro che cambiano forma […], seguono la via delle clavicole e scendono sui seni, si dividono per le braccia in ogni direzione per tornare indietro e incontrarsi tra le scapole” (p. 16).
I personaggi raccontati da Tetti provengono da un immaginario che attinge alla mitologia mediterranea, a leggende, superstizioni e credenze popolari sarde — ma verrebbe da dire universali — mescolando fantasia e lucido vaneggiamento. E come spesso accade nei grandi miti del passato o tra le pagine degli scrittori che lo hanno preceduto in un analogo visionario approccio alla scrittura (ci vengono in mente Borges, a cui il titolo stesso rende omaggio citando un suo saggio sul tempo, il Marquez di Cent’anni di solitudine, o il Sergio Atzeni di Passavamo sulla terra leggeri e Il quinto passo è l’addio, che a tratti pare quasi di scorgere oltre i bastioni in pietra sbiancata della città murata), personaggi e luoghi finiscono per fondersi in un solo nome, in una sola immagine: “L’arcipelago ha terramare di conchiglia e sabbia, per molte e molte miglia. Costiere di sabbie dolci e colorate […]. Non abbiamo fretta e il pescato è sempre abbondante, non viene mai sprecato. Qualcheduno prende a chiamarlo col mio nome, l’arcipelago di Maddalena, è una sciagura, dico io” (p. 163).
Ma quegli stessi luoghi, tappe di un viaggio che potrebbe dipanarsi nell’immobilità dinamica di un’allucinazione, vedono la loro aura mitica violata, inquinata dall’impronta oscena della degradazione umana. E se “Un tempo le anse dell’isola [di Malu Entu] dovevano essere cave di quarzite” (p. 92), nel presente indeterminato di Nostalgie della terra “Nell’acqua melmosa galleggiavano le trappole: plastica, buste nere per i rifiuti, reti ingannatrici, frammenti affilati nella pelle umida dei rettili” (ibid.). E ancora: “L’arcipelago [di Maddalena] subiva una volta all’anno un potente cataclisma, […] tali cataclismi erano causati dalle bombe all’uranio sganciate durante le esercitazioni militari al largo del Tirreno. […] E di veleni erano piene le acque e i terreni pure, perché proprio quando gli spargitori credevano di rendere fertili terre e mari col proprio seme, li stavano in quella maniera avvelenando” (pp. 144 – 145).
Dove ci conduce, dunque, il viaggio al quale ci invita Mauro Tetti? Ancora una volta in nessun luogo e in ogni luogo, ci porta davanti all’universo noto e ignoto, oltre l’orizzonte degli eventi, faccia a faccia con la singolarità in cui si addensano le contraddizioni della nostra coscienza, individuale e collettiva.