
Questa la riflessione conclusiva di Caterina, giovane ingegnere civile – “Buongiorno, signora. Ingegnere. Signora mi sembrava più gentile. Non siamo qui per scambiarci gentilezze. […] Preferisce ingegnera? […] Ingegnere e basta mi va bene, non pretendo tanto.” (pp. 12-3) – che si ritrova a dirigere il cantiere per la costruzione di un argine e di un ponte e ad affrontare l’ostilità di alcuni residenti contrari alla grande opera, le invidie dei colleghi, i pregiudizi di genere in un ambiente tipicamente maschile, i suoi stessi dubbi per una responsabilità che non sembra supportata dall’esperienza. “Caterina vive sempre questo doppio sentimento. Da una parte la voglia di mettersi di traverso, in un mondo in cui non sa mai bene come collocarsi. Poco esperta, eccessivamente qualificata, ha studiato troppo, e le cose sbagliate. Dall’altra la voglia di ritirarsi, di nascondersi. Come se ci fossero sempre due Caterina. Una parla e l’altra la prega di stare zitta” (p. 46).
La doppia personalità della protagonista ne mette in risalto la solitudine, aggravata dalla perdita di Pietro, il grande amore scappato senza dare spiegazioni. “È stato faticoso aprire la scatola di cartone e trovarci dentro il pigiama di Pietro. L’ha appoggiato a terra, accanto al comodino, per tutta la notte. Lo ha guardato spesso, girandosi nel sonno, chiedendosi se fosse pulito o sporco. Se potesse, portandoselo al naso, sentire ancora il suo odore. Chiude gli occhi, li riapre. Non ha voglia di vederselo comparire anche qua, in mezzo al fiume, stamattina. Del resto a casa non si è più fatto vedere” (p. 33).
Unica compagnia, il fantasma di un operaio morto sul lavoro anni prima, fantasma capace di consigli indispensabili per l’avanzamento del cantiere: “Il lavoro di chi monta le difese di sponda è molto delicato. Ci vuole talento per capire qual è il masso giusto, e delicatezza nel girarlo. Ci vuole un occhio tridimensionale” (p. 99), ma reticente quando si tratta di parlare della propria storia. “Caterina risale in macchina, accende il motore. Sono tutti uguali. Gli chiedi una cosa e ne rispondono un’altra. Gli fai una gentilezza e si ritraggono” (p. 101).
La piena, minaccia incombente e ricordo dei danni causati l’anno precedente, potrebbe di nuovo cancellare strade e paesi: Caterina, da un lato sente la necessità di arginare il pericolo e i suoi effetti negativi, ma dall’altro attende che il tempo, come il fiume grosso, porti via gli scatoloni e i ricordi di Pietro. “Nell’incedere impietoso delle stagioni, ora che è di nuovo estate, il ricordo dell’anno precedente comincia a bruciarle addosso. Adesso che si avvicina il giorno in cui l’anno prima ha avviato i lavori, ricomincia ad affiorare Pietro” (p. 205).
Il lavoro, la solitudine e la natura, questo racconta Nina sull’argine, senza conclusioni che consolano, senza nuovi amori o promozioni e scatti di carriera, in un’atmosfera di attesa e fatalismo che, almeno a parere di chi vi scrive, trova una perfetta corrispondenza in questa poesia di Cesare Viviani.
Osare dire
Com’è, come sarà
vivere senza ricevere aiuto,
senza favori, protezioni,
senza materne associazioni,
anche quando la febbre sale,
anche quando il fiume straripa
e travolge il riparo, orto e baracca.
Sarà come vive il resto della natura,
vicino ai predatori e senza paura.
(Giovanni Locatelli)