La città delle bici

 
 
 
 
di Andrea Viola
 
 
 
 

Telaio, frazione di Due Ruote, 4 agosto 2020
 
 
La sala del Comune era stata preparata per l’occasione. Ultima riunione prima della pausa estiva. Dipinta di bianco con i colori dell’iride al centro. La striscia iridata viaggiava su tutte e quattro le pareti, interrotta soltanto dalla porta, il cui interno era stato dipinto di bianco con al centro strisce azzurre e blu, e due stelle che risaltavano agli occhi di chi avrebbe chiuso. L’ospite era importante, ci voleva un’accoglienza degna della personalità. E poi bisognava farlo sentire a casa. Lui, che aveva la fabbrica al quarto e ultimo chilometro della salita dove terminava la gara del paese. Lui che in fabbrica andava con la sua bici da venticinque anni. Lui che aveva la casa alla fine del rettilineo dove solitamente veniva posizionato il traguardo del Giro d’Italia — quello femminile, quello Under 23, quello degli uomini professionisti — e che sponsorizzava con la sua fabbrica, appunto, di molle per i cambi delle più famose marche di biciclette. Molle per i cambi delle biciclette. Sì, perché senza la molla il cambio non funziona. Componente fondamentale. Anche lui, FaustoMarcoGino detto Il Farinel, era fondamentale per la ridente cittadina di Due Ruote. Il nome, a quelle quattro case che poi erano diventate un paese, lo avevano dato i fondatori ai primi del Novecento, quando i mezzi di locomozione con le ruote erano due, il treno e le bici. Carrozze: non utilizzate. Gli unici due nobili presenti a Due Ruote usavano andare a piedi o in bicicletta, come tutti. Di treni ne passava uno ogni tre ore, uno verso est, l’altro verso ovest. Fino alle 19. Poi stop. E chi si trovava a Due Ruote dopo le 19 doveva alloggiare in albergo, l’unico presente in paese, dal nome Serie Sterzo.

La città delle biciDa Due Ruote l’avo del Farinel aveva sempre fatto passare il Giro d’Italia. Dalla prima edizione del 1909. Cinque volte arrivo di tappa, col traguardo lassù, proprio al quarto e ultimo chilometro dove campeggiavano gli stabilimenti della fabbrica. E dove quella volta sotto la pioggia arrivò Pantani, Il Pirata, e vide FaustoMarcoGino e gli diede la sua borraccia, dalla quale lui beve ancora oggi. E dove quella volta Fausto Coppi vinse di un centimetro su Gino Bartali, centimetro certificato da un metro preso proprio dalla fabbrica di molle. Era ritenuto più preciso. Come se un metro non fosse un metro, ma gli anziani di allora si presero la briga di certificare la vittoria dell’Airone. O come quando Il Cannibale, al secolo Eddy Merckx, alla fine della tappa vinta, rese omaggio in diretta televisiva alla fabbrica dichiarando: «Senza le molle del cambio io oggi non sarei a festeggiare questa vittoria».

Poi arrivò il fascismo. Un disastro, anche per Due Ruote. Il regime voleva pure cambiare il nome in Quattro Ruote, ma non ci fu verso per l’opposizione dei suoi abitanti. Il podestà che arrivava da Roma quel lunedì mattina, scelto da Mussolini in persona, non poteva credere ai suoi occhi. Le macchine al seguito, quel corteo nero e meccanizzato, con i fumi che lasciavano una scia di odore insopportabile, si trovarono di fronte barricate fatte di ruote di biciclette, pezzi di ricambio ammassati, telai incrociati, fili dei freni ad altezza tibia per far inciampare i malcapitati. Quel chiassoso corteo dovette spegnere i motori e fermarsi all’entrata del paese. Iniziarono ore di febbrili trattative con gli abitanti. Non volevano né macchine, né podestà, né camerati. Tuttavia l’Autarchia doveva vincere, e alla sera si presentarono i carri armati. Dovettero cedere, ma fecero di tutto per rendere impossibile la vita agli occupanti con le macchine. Di questo la stampa ufficiale non poteva parlarne. Quando iniziarono a costruire il distributore di benzina sulla via principale, la mattina successiva si trovarono i pozzetti pieni di camere d’aria, le macchine venivano costantemente rigate, ne venivano bucate le ruote, rotti i fari. Fino a quando il podestà non mise il coprifuoco e minacciò di eliminare le biciclette da Due Ruote, triste anticipazione di quello che sarebbe accaduto durante la Resistenza.

Da quel momento la vita nella cittadina piemontese cambiò, e le macchine diventarono una presenza normale.

La fabbrica di molle però non conosceva soste. Riforniva i grandi marchi del ciclismo, fornì biciclette ai partigiani, e continuava a portare il ciclismo a Due Ruote, affinché nessuno dimenticasse un passato che sì, doveva essere ingombrante.

FaustoMarcoGino non ereditò soltanto la fabbrica. Ereditò la passione per la bici, e anche una visione del mondo. Quella chiusa nel cassetto della scrivania di suo padre. Ed era quella visione che FaustoMarcoGino andava a presentare nella sala comunale di Due Ruote. Quei fogli datati 1973, l’anno fatidico della crisi petrolifera e della scoperta del disegno di Leonardo che raffigurava un prototipo di bicicletta, quei fogli che suo padre aveva riempito di scritte e disegni era l’ora che rivedessero la luce. Ma soprattutto che diventassero realtà. Era pronto a tutto, i soldi non sarebbero stati un problema. Suo padre aveva lasciato una fortuna, facendo mettere per scritto, e la firma denotava una mano sicura, decisa, che sarebbe stata utilizzata solo per quel progetto.

Il Farinel arrivò all’appuntamento in bicicletta. Casco, occhiali da sole vintage, borsa con i documenti, jeans, scarpe da ginnastica, giacca. La maglietta da ciclista con il nome della squadra e lo sponsor: la fabbrica di molle per i cambi. Senza nessuno che lo accompagnasse, solo in corsa c’erano i suoi compagni di squadra.

Le dieci persone sedute in sala — sindaco, assessori e segretarie — lo fissavano, lo squadravano, trapelava curiosità dai loro volti. Erano la nuova generazione, e della vecchia Due Ruote avevano sentito i racconti, ne percepivano il passato particolare, l’unicità, ma facevano comunque fatica a vedere tutto questo nel presente.

Il Farinel li guardava uno a uno, dritto negli occhi. E fece onore al suo soprannome. Era un birichino, lo era stato anche da corridore. Ricordava Giovanni Gerbi, Il Diavolo Rosso. Sì, quello di Asti. Tutti si ricordano di quando FaustoMarcoGino in quella gara a cronometro disse al corridore più forte che gli avevano cambiato l’orario di partenza, così quel poverino partì dieci minuti dopo con la penalizzazione. Oppure quando in gruppo era solito urlare fortissimo nomi strani e tanti si giravano distraendosi, tranne i suoi compagni di squadra che partivano per andare in fuga e a volte vincere le corse. O quando sgonfiava le gomme delle ammiraglie, e rideva a sentire i cristi dei direttori sportivi.

Quel giorno si sentì una frenata, rumore di lamiera, vetri in frantumi. I presenti ebbero un sussulto, si alzarono veloci dalla sedia e corsero alla finestra. Pensavano a una macchina contro le vetrate del Comune. Ma nulla. Solo silenzio interrotto dal cinguettare degli uccellini, sole a picco, qualche ignaro passante.

«Le macchine e le moto dovranno essere bandite da Due Ruote». L’incredulità dei presenti si attenuò al sentire quelle parole. Ne aveva combinato una delle sue. Aveva fatto piazzare dai suoi ex compagni di squadra un altoparlante che avrebbe diffuso quel rumore, e aveva comunicato l’ora precisa dello scherzo. Il Farinel aveva colpito ancora, e anche questa volta per vincere.

«Due settimane e Due Ruote tornerà indietro, per andare avanti. Le macchine e le moto sono il vecchio, le bici sono il futuro, è inutile riempirsi la bocca di tanti progetti e poi pensare un mondo con le macchine» disse. «C’è bisogno che cambi la percezione del lavoro, degli spostamenti, dobbiamo tornare a godere di più di quel tempo che sembra sciogliersi tra le nostre mani». Lo aveva letto sugli appunti del padre e se lo era fissato nella mente. Il tempo, quel tempo passato in coda o in macchina, era stato la sua fissazione. Il tempo degli spostamenti a Due Ruote doveva essere misurato solo sui pedali, o al limite a piedi. Godere del tempo che non torna, dei rumori veri, della leggerezza dello spostamento in bici, dell’armonia della pedalata.

«I soldi, non sono un problema, mio padre non ha potuto essere in questa sala, tocca a me» disse, perentorio, fiero, contento, prendendo in mano una molla marchiata con il nome della sua fabbrica. E iniziò a illustrare il suo progetto.

«Le macchine dovranno fermarsi al confine, lì saranno messi a disposizione parcheggi e biciclette, chi ha da fare consegne avrà bici elettriche con rimorchio».

Dopo questa prima esposizione si fermò a guardare i presenti. Facce sorprese, interessate, l’assessore alla viabilità che prendeva appunti.

«I lampioni, i tombini, i cartelli stradali, le ringhiere, insomma la maggior parte degli arredi urbani avranno forma di bici, un elenco esaustivo sarà fornito all’ufficio di competenza». L’interesse cresceva. «Al posto dei tre benzinai ci saranno meccanici per bici, chi vende la benzina sarà formato per la manutenzione delle biciclette, e si occuperà delle stazioni di ricarica per quelle elettriche».

«Ci vorranno mesi di lavoro» obiettò l’assessore ai lavori pubblici.

«Due settimane, quindici giorni, abbiamo già tutto pronto» rispose duro Il Farinel. «L’asfalto sarà sostituito con uno di ultima generazione che trasmette kilowatt alle bici a pedalata assistita, e soprattutto sarà morbido e di colore verde, come i marciapiedi. Ci saranno bici bus per andare a scuola, e ogni famiglia avrà in dotazione bici e caschi per i bambini, che naturalmente saranno riciclati». I presenti iniziarono a stupirsi di quella lucida visione di città, che era anche una visione di vita. «I parcheggi per le bici non dovranno essere più larghi di un metro e più lunghi di due, verranno tracciate le righe come avviene oggi con le macchine», stava ridendo sotto i baffi. «Quelli sotterranei non potranno avere rampe di pendenza superiore all’uno per cento, in modo che siano percorribili per tutti, anche per i disabili che avranno le loro bici speciali. Le Grandi Classiche, il Giro d’Italia e il Tour de France dovranno essere trasmessi al cinema, gratuitamente».

Avevano capito, e si erano rassegnati tutti, non si poteva tornare indietro. Avevano capito che il passato era lo stimolo per il futuro, che Due Ruote avrebbe fatto un salto di qualità. In primo luogo per la vita degli abitanti.

«Infine, tre volte all’anno si organizzerà il Gran Premio della Città di Due Ruote, con un ciclista professionista a presenziare e come premio una enorme molla del cambio».

Quella sera Il Farinel andò a dormire con la consapevolezza che aveva voluto bene a suo padre. Da sempre. Lo aveva ringraziato così, non lo aveva mai fatto in vita. Cose che succedono nei rapporti tra genitori e figli, si era detto FaustoMarcoGino. Voleva ringraziarlo per la passione per la bici e perché quella passione lo aveva fatto vivere bene, su due ruote, godendo dell’aria aperta e del tempo. Voleva ringraziarlo perché quella visione della città, scritta in corsivo su quei fogli ingialliti, non era un omaggio a lui ma a tutta l’umanità, era la testimonianza di un altruismo che a volte li aveva portati allo scontro, ma che gli aveva insegnato ad accettare il diverso, che aiutare gli altri fa bene a se stessi. Quella sera lo sognò, suo padre. Era intento ad aggiustare una molla del cambio, mani sporche, scherzava con sua madre. Si giravaverso di lui: «Faustino, sei proprio un bel Farinel, va!»
 
 

Andrea Viola, nato nel 1977 a Sanremo, la città di Calvino e dell’arrivo della Classicissima Milano-Sanremo, ha vissuto per 20 anni nella vicina Arma di Taggia. Si forma al Liceo Classico G.D. Cassini della città dei fiori, e gioca a calcio nel ruolo più impegnativo, più curioso, più solo: il portiere. Concluso il Liceo emigra a Genova, dove vive tutt’ora, per studiare Storia Antica e prendersi un master in “Responsabile di scavo archeologico”. Continua a fare il portiere, ma di calcio a 5. Poi la bici, l’amore primordiale. Oggi fa l’impiegato, scrittore, poeta e ciclista in una squadra amatoriale. E gli piace da morire il calciobalilla.

 
 

Illustrazione originale di Nicola Parrella

 

Nicola Parrella è un illustratore freelance che vive e lavora a Genova. È papà di un bimbo e una bimba che lo ispirano e lo aiutano a creare nuovi progetti e a non crescere mai troppo. Lavora con tecniche tradizionali e digitali, con una naturale predisposizione per il dettaglio. Dal 2011 realizza cover per la collana Harmony History edita da Harper Collins Italia. Nel 2015 ha pubblicato Cenerentola con Adnav Edizioni, presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino. Nel 2020 inizia a creare per suo figlio Bartolomeo giocattoli di cartone riciclato. Da questa esperienza nascono le sue Cose di Cartone, modelli su misura di case, negozi, mezzi di trasporto, piante e qualsiasi cosa gli venga commissionata.

 
 

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