di Michele Frisia
Per prima cosa le avrebbe detto della cena. Che lo aspettavano a casa. Che aveva fretta. E se in parte era anche vero, non lo avrebbe detto per questo, lo avrebbe detto perché la fretta rende tutto migliore, più intenso, più memorabile.
Il tram si fermò e l’uomo sfiorò la freccia col mignolo. Superò il mezzo pubblico appena prima che un anziano, dai capelli bianchi e curati, cercasse di attraversare la strada: bastò un colpo di clacson perché l’anziano si fermasse e imprecasse con la mano alzata. Ma cosa gridi?, alla tua età, non vedi che sei fuori dalle strisce. L’uomo guardò nello specchietto e l’anziano era ancora là, sul bordo della strada, col pugno alzato verso di lui. Gli scappò un sorriso. Perdonami, disse nell’abitacolo vuoto, ma oggi ho fretta. Il semaforo era spento ma s’arrestò ugualmente: un vigile urbano, davanti a lui, muoveva i guanti bianchi nell’aria. Chissà perché i vigili indossano sempre gli occhiali da sole, oggi il sole non c’è. L’agente fece segno di passare. Chissà se prendono una percentuale sulle multe, l’ho sentito dire, magari è per quello che sono così zelanti; invece sulle sentenze i giudici non prendono la percentuale, questo lo so, ma mi hanno rovinato lo stesso. L’uomo vide un bar, ci pensò, parcheggiò davanti all’ingresso, e dal vetro vide la cameriera china sul bancone: il seno calava per gravità.
Posò la tazzina nel piattino e qualche moneta sul bancone. Ti ho lasciato una piccola mancia. Grazie, sorrise la ragazza, cosa mi racconti? Scusa ma oggi vado di fretta, e uscì. Prima della separazione andava tutto bene, avevo il mutuo, certo, ma era l’unica spesa importante, per il resto mia moglie gestiva bene i soldi, per i bambini, per le bollette. Stipendi, bonifici, conto corrente: amministrava tutto lei. Sempre stata brava a spendere i soldi degli altri. Ma gli straordinari, per fortuna, li prendevo in contanti e non li portavo a casa, mi servivano. Toccò la tasca, sentì i biglietti sfusi, gli ultimi del mese. Coi soldi non andava male, però litigavamo sempre, sempre, ogni giorno. Tastò di nuovo la tasca, sentì alcune monete, le valutò con la punta delle dita e stabilì ch’erano sufficienti. Prese una deviazione.
La vita in casa era insopportabile, giocavo la schedina tre volte a settimana. Se vinco, dicevo al tabaccaio, mi separo. Sepàrati lo stesso, rispondeva quello, non è bello stare con qualcuno solo per i soldi. Che faccia tosta! Proprio lui, che aveva ereditato la licenza dal suocero, lui, che abitava nella casa della moglie, ospite a casa propria. Bella faccia tosta. Ma una relazione basata sui litigi è pesante, ripetitiva, senza via d’uscita. L’eccitazione è ben altra cosa. Un ragazzo bussò al vetro. Signó, disse, signó. Mostrò alcuni pacchi di calze. Non mi serve niente. Dammi una mano, signó, che ti costa? Il semaforo tornò verde. Per fortuna io avevo una via di sfogo, e di un certo livello: la incontravo sempre nello stesso motel, verso il lago, per niente caro e abbastanza riservato. L’unico momento rischioso era l’entrata, dalla statale: bisognava fermarsi per attraversare la carreggiata e a quel punto gli autisti dalla corsia opposta, che ti passavano proprio accanto, potevano vedere all’interno dell’abitacolo. Ma era solo un istante e con quei prezzi potevo permettermi la stanza due, tre, anche quattro volte a settimana. Era prima della separazione.
L’uomo parcheggiò davanti alla tabaccheria. Nella stanza ampia, protetta dal vetro spesso, una signora in carne alzò lo sguardo, lui afferrò una schedina precompilata, la verificò riga per riga, la spinse nella fessura. Poi versò dal palmo le monete, la cifra giusta. Per scaramanzia non si dice nulla, di solito, in tabaccheria, tranne quando la confidenza è notevole e questa non la conosco. Ma dopo la separazione un po’ di soldi farebbero comodo, questo vorrei dirle. Due ragazze entrarono ridendo e l’uomo uscì in strada, dove il traffico era aumentato. A quest’ora timbrano tutti il cartellino, intasano la tangenziale, e io dovrò essere a casa prima di cena. L’uomo guardò l’orologio e allungò il passo verso l’auto. Sono in ritardo, pensò, e accese il motore. Ero in ritardo anche il giorno del matrimonio. Mia moglie, i capelli rossi che spuntavano dal velo, inferocita, inveiva contro di me coi parenti. Almeno così mi han detto, portava sfortuna a quel tempo vedere l’abito prima della cerimonia. Quando suo padre la portò in chiesa, ancora le fumavano i riccioli di rabbia, però non litigammo, almeno non quel giorno.
La grossa arteria, diretta fuori città, era immobile; un uomo salì quasi sul tettuccio dell’auto per spingere più lontano possibile la sua ispezione. Cosa vede? Quello scese scuotendo la testa. Fino alla rotonda è tutto fermo, io torno indietro. Grazie, che città invivibile. Non sono una persona che sopporta i litigi, questo si sa, ma lei provocava per qualunque sciocchezza. Forse è stato quello a spingermi fra le braccia di un’altra: del resto era una bella tentazione vedere quel seno, tutti i giorni, al lavoro; maledizione, così formosa, spalle da nuotatrice, la gamba lunga. Aveva i capelli neri, lisci, li teneva sempre pareggiati, la pelle bianca, gli occhi verdi, non si abbronzava mai. Adoro i capelli lisci e pareggiati. Fu lei a scegliere quel motel, la prima volta, e non cambiammo più. E poi rideva, rideva sempre: non come mia moglie, perennemente alterata, sempre per le solite sciocchezze, con quei ricci che andavano ovunque.
L’auto s’infilò sotto una galleria naturale di plàtani. Sul lato destro della carreggiata, in piedi, ritta, al bordo delle strisce pedonali, con la borsa della spesa in mano, una donna. Questa va fatta passare, guarda lì che caviglie; sembra una ventenne, ma con la sicurezza dei quaranta. E poi le donne con la spesa hanno un fascino particolare, sembrano sempre in cerca di qualcuno che le aiuti; peccato non gli entri in testa che il cane non muove la coda per niente. Mi è sempre piaciuto il motel, per l’attesa; la preparazione iniziava per tempo, le bugie calate a mia moglie goccia a goccia, perché fossero credibili, la mattina trascorsa al lavoro, a guardare quel corpo sensuale che smistava le pratiche, a immaginare le posizioni, la biancheria, l’odore. In cambio di pochi spiccioli, il guadagno di qualche ora di straordinario appena, la settimana mi scorreva senza pensieri, immerso in quei capelli neri, lisci, pareggiati così bene. Poi la separazione ha cambiato tutto, a cominciare dai soldi. Quella scompigliata di mia moglie si è presa la casa, e io pago il mutuo; si è presa i figli, e io pago il mantenimento; li vedo solo il sabato. Ero finito addirittura a spartire il bilocale con mio padre, lui in camera e io sul divano. Il giorno dell’udienza mia moglie era spettinata, come al solito, i riccioli rossi lanciati in ogni direzione, illuminati dal sole basso. Piangeva. Ma che piangi a fare? Guarda che caviglie sottili questa signora con la spesa, niente male davvero, starebbero bene quelle caviglie sul letto di un motel, magari con lo specchio al soffitto e l’aria condizionata, mista all’igienizzante, che le farebbe rizzare la pelle d’oca. Un colpo di clacson risvegliò l’uomo: la signora con la spesa era scomparsa. Lui guardò nello specchietto, alzò la mano per scusarsi, e ingranò la prima. Hanno tutti fretta in questa città, ma ce l’ho anch’io; per prima cosa le dirò qualche cosa di spinto, perché è meglio farsi vedere forte, mantenere il controllo; le donne sono così, basta un attimo e prendono il sopravvento. Sì, molto meglio, le dirò qualcosa che la spiazzi, qualcosa di volgare e autoritario.
La strada continuava, le case finite, arrivò davanti al motel. Sfiorò la leva delle frecce, stava per svoltare, ma un’auto davanti a lui, proveniva in senso opposto, attirò la sua attenzione. Rimise la mano sul volante e proseguì. Accidenti, sembrava quella del capo, chi compra un’auto gialla di ’sti tempi? Ma non era lui. Che periodo infame, dopo la separazione: non mi potevo permettere un affitto; a fine mese, dopo che avevo pagato per il benessere di mia moglie, non mi restava abbastanza; però ero stanco di svegliarmi quattro volte per notte, secondo la cadenza irregolare decisa dalla vescica di mio padre. Un giorno eravamo al lavoro, accanto alla macchinetta del caffè, quando lei mi propose, Tu sei separato, io sto ancóra dai miei, prendo un appartamento e vieni a vivere con me. Mi ospita da quasi due anni. Il mio testimone di nozze sapeva tutto, fin dall’inizio. Il tuo problema, diceva sempre, è che tratti l’amante come una moglie, ci parli, è sbagliato. Non è sbagliato. Sì che lo è: è sesso, e basta, e adesso che finalmente ti sei separato che fai? Potresti vivere libero e felice e invece vai a vivere con l’amante, come fosse tua moglie; è una sciocchezza e tu lo sai. Forse era una sciocchezza, ma di soldi non ne avevo.
L’auto proseguì fino alla rotonda, poi invertì la marcia in direzione del motel. Era eccitante venire qui, lo è ancora, c’è un qualcosa di proibito, immorale, non solo nel tradimento, anche nelle modalità: in macchina è fisiologico; in ufficio ti senti una preda passionale, vittima del momento; a casa d’altri è quasi romantico, oppure spregevole; qui invece è architettato, si tratta di una serie di atti indirizzati, in modo premeditato, verso il piacere: è infedeltà razionale. Da quando vivo con lei è dura eccitarsi. Ogni giorno lo stesso: finiamo di lavorare insieme, torniamo a casa, lei cucina, io pulisco; è sempre stanca, sul divano, litighiamo; quegli occhi verdi, quei capelli lisci, bene pareggiati, che mi piacevano tanto, non sono più così unici quando le puzza il fiato per il ciclo o perché ha mangiato troppa carne. La signorina è già arrivata, disse l’addetto alla reception. L’uomo allungò la carta d’identità, senza scendere dall’auto. È nella solita stanza, continuò l’addetto con un sorriso che, al tempo stesso, voleva farsi notare senza farlo. L’auto proseguì lenta, le stradine del motel, svoltò, s’infilò in un cortiletto.
Una coppia, proprio davanti a lui, uscita dalla stanza, stava salendo in auto. L’uomo spense il motore e s’incassò dentro al sedile, sperando di non farsi notare. La coppia temporeggiava, sembrava quasi che non fossero clandestini, che potessero, magari anche fuori da quel motel, permettersi il lusso dell’amore pubblico. Lo facevamo anche noi, pensò l’uomo, da fidanzati. Lei si legava i ricci con l’elastico e andavamo al lago, camminavamo abbracciati fra banchine e cigni, ci baciavamo. Allora credevo in un futuro importante per noi, serio, un bel futuro anche per me; pensavo davvero che sarei stato come quella gente dentro ai film, sempre dalla parte giusta, sempre dedita al sacrificio, ma quel sacrificio che poi premia. Ricordo ancora il giorno in cui, per la prima volta, al cinema, giustificai il personaggio sbagliato. Aveva abbandonato un amico, tradito, era stato forse vile, non ricordo, ma insomma aveva fatto quello avrebbe fatto una persona normale, e io annuivo, quando sentii mia moglie borbottare verso lo schermo: verme! Non era ancora mia moglie, allora. Non le dissi nulla. Quella fu la prima volta: mi ero immedesimato in qualcuno che stava dalla parte sbagliata; quella era stata la prima volta. Poi… Poi…
La coppia, dopo l’ultimo gesto di tenerezza, salì in auto e scomparve dietro a una curva. L’uomo riaccese il motore e guidò fino al vano privato; l’avvolgibile calava lento, a proteggere la targa dalla curiosità degli altri infedeli, e l’uomo verificò che nessuno l’avesse chiamato. Poi spense il telefono ed entrò nella camera. La donna era sul letto, le caviglie già legate con un collant, il reggiseno indosso, non le mutandine. I capelli rossi erano sparsi sul cuscino; i ricci, senza un elastico a tenerli, allargati fino alla testiera. L’uomo fece per dire qualcosa, aveva già aperto bocca, ma lei lo anticipò.
I bambini ti salutano, sabato vieni a prenderli dopo pranzo. Ma adesso scopami, che ho fretta.
Michele Frisia è perito balistico. Ha iniziato scrivendo racconti di genere e sceneggiature, ma poi ha smesso. Alcuni racconti si trovano su Nazione Indiana, Pastrengo, inutile e altre riviste. Il suo primo libro, un saggio romanzato dal titolo Delitti e castighi, è uscito nel 2019 per Dino Audino con la prefazione di Giancarlo De Cataldo. Gestisce un blog con aspirazioni interdisciplinari ed è redattore della rivista letteraria Narrandom.
Illustrazione originale di Cristiano Baricelli.
Cristiano Baricelli nasce a Genova nel 1977. Autodidatta dal 1997, elabora una personale tecnica di disegno basata sull’uso della penna a sfera. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali e collabora con Fanzine e Magazine di illustrazione tra cui: Grrrz Comic Art Books, Nurant, Osel,Watt, CartaCanta, Nitch, L’inquieto, Pastiche, Verde Rivista, Antropoide, Illustrati, Nèura, Freak Out, Guida 42, Carie, Rituali, Effe Rivista, Risme, Squadernauti, Racconti Crestati, Digressioni, Horror Moth. Attualmente sta sperimentando tecniche miste, e odia svegliarsi presto la mattina.