Pubblicato nel maggio 2017 da L’orma editore nella traduzione di Lorenzo Flabbi, Memoria di ragazza di è un romanzo che ruota attorno alla scoperta di sé da parte della narratrice in un preciso momento della vita, l’estate del 1958.
Come in altre opere dell’autrice (recensite su questo blog, qui e qui), la scrittura muove anche in questo caso dalla rielaborazione di materiale autobiografico e si dipana, ancora una volta, attraverso sequenze e quadri ambientati tra passato e presente: Annie Ernaux interroga l’accaduto non per dedicarsi a un’appassionata collezione di meriti e colpe né semplicemente per ricostruire circostanze o responsabilità; piuttosto, ella mostra che forse si può guardare alla dimensione del tempo non come si guarda a una cosa, riuscendo cioè a restituirne l’instancabile movimento e la natura contraddittoria.
Perché il passato non è mai concluso, gli accadimenti non sono afferrabili come oggetti, gli eventi si succedono, hanno un inizio e una fine dai contorni concreti e corporali ma incerti, nascono da precise motivazioni, producono conseguenze ma restano comunque irrisolti, inspiegabili.
Rispetto al dettato de Il posto, pur ugualmente tesa, la scrittura cerca in questo romanzo un movimento più largo e insistente, ritorna sull’evento senza temere di confessare né di ricostruire i dettagli del contesto in cui si situa il turbamento dell’incontro con l’altro. Anche in Memoria di ragazza, l’uso della terza persona e uno stile che non lascia spazio a derive sentimentali permettono a chi narra e a chi legge di avvicinarsi alla scena da un distanza che non soffochi l’eco del passato.
In una sorta di diario pubblico, in equilibrio tra analisi e descrizioni di azioni e ambienti, Annie Ernaux scompone e ricompone una figura, sé stessa, un essere che le corrisponde come ci corrispondono i sogni che facciamo.
Nel gesto di andare verso ciò che si è stati, pare impossibile dire cosa sia e dove sia l’io o addirittura credere all’esistenza dell’identità, anche se nel corso del tempo accumuliamo dettagli della nostra vita che ci illudono di poter raggiungere e possedere noi stessi una volta per tutte:
“Più resto a fissare la ragazza della foto, più mi sembra che sia lei a guardarmi. È davvero me quella ragazza? Sono davvero lei?”, p. 24; “La ragazza della foto non è me, ma non è una finzione. Non esiste nessun’altra persona al mondo di cui abbia una conoscenza tanto estesa, inesauribile”, p. 25.
Tanto vivere quanto ricordare porta continuamente ad avere a che fare con l’altro, in quanto pura alterità irriducibile; vivere il limite di sé è fare esperienza di un’impossibile coincidenza dei corpi (il mio e quello dell’altro, ma anche il mio di ora e quello di un tempo), del costante movimento tra frattura e resistenza che caratterizza lo stare al mondo.
“La ragazza della foto è un’estranea che mi ha lasciato la sua memoria in eredità”, p. 26.
Non si può che immaginare l’altro, immaginarsi altro: la ricerca di un altro che sia “Padrone” (pp. 10-11), perché è insopportabile pensare a esso quale figura irrelata, libera, accettarlo come la dolorosa interruzione di ciò che siamo: è una presenza che sebbene ci sovrasti ci promette un riconoscimento in cambio di una sorta di sottomissione.
Ricordare è allora fare nuovamente vivi la paura e il desiderio di essere attraversati dall’altro, di accogliere il vuoto della verità, l’“obbedienza a ciò che accade”, p. 66.
Se è vero che, sul piano dei contenuti, il romanzo ruota attorno alla scoperta del corpo e della dimensione sessuale dell’esistenza da parte della protagonista, la diciottenne Annie Duchesne, il racconto è più in generale l’instancabile esercizio di restituzione di un’eco che pare inesauribile e ingovernabile: è il tentativo di cercare la realtà del passato, cioè la sua vita, ed è quindi anche una silenziosa riflessione sui limiti della scrittura.
Significa aver prova delle mancanze del linguaggio, perennemente in ritardo o in anticipo rispetto all’esperienza nonché pronto a splendide menzogne.
Eppure, solo dall’apertura dell’esperienza, dal vivere, cioè dall’accettare di stare nell’assenza di significati, dove non si possono prevedere le conseguenze delle proprie azioni né controllare il futuro, nascono il linguaggio e la scrittura: “È la mancanza di senso di ciò che si vive nel momento in cui lo si vive che moltiplica le possibilità di scrittura”, p. 235.
Tuttavia, scrivere non è il tentativo di riempire il vuoto tra passato e presente; è sentire ed essere consapevoli della frattura tra la realtà e il linguaggio, tra l’oscurità dei fatti e le brillanti interpretazioni, tra ciò che è stato e ciò che è, è stare nel movimento tra essere identici a se stessi e diventare costantemente altro:
“Esplorare il baratro tra la sconcertante realtà di ciò che accade nel momento in cui accade e la strana irrealtà che, anni dopo, ammanta ciò che è accaduto”, p. 236; “Fare della scrittura un’impresa insostenibile”, p. 53.
È incredibile. Leggerti è ogni volta come leggere dentro l’anima dell’intero agglomerato umano, fin dai suoi primordi.
Sono stanca e ho bisogno di vacanze. Non vedo l'[ora di sentirti :)))))))
Bellissimo questo libro: la Ernaux fa sì che la sua vergogna, il suo rimorso si attacchi all’animo del lettore.