Il grande scrittore è colui che esce dal mondo.
Chi nel mondo rimane non può interpretare chi è uscito dal mondo: la distanza è incommensurabile. Allora si affanna a decifrarne i segni alla luce delle proprie paure (quelle stesse, umanissime paure che lo trattengono nel mondo).
E così, oggi facciamo a gara a dire quanto insopportabile fosse il carattere di Louis-Ferdinand Céline; quanto egli tiranneggiasse i suoi editori; quanto egli fosse attaccato al denaro.
Senza farci venire il dubbio che l’unica fedeltà assoluta di Céline fosse alla parola: “Per carità non aggiunga una sola sillaba al testo senza avvertirmi! In un attimo farebbe crollare il ritmo – solo io posso ritrovarlo. Potrò sembrarle uno sprovveduto ma so perfettamente quello che voglio. Non una sillaba” (p. 35).
Nessuna intimità è possibile tra chi esce dal mondo e chi nel mondo rimane. L’unica relazione che possa ancora darsi è, forse, quella commerciale: “Ho in odio tutto ciò che somiglia a intimità, amicizia, cameratismo ecc. È un aspetto della vita che mi disgusta. Su certe cose non si cambia. Mi consideri un eccellente investimento, nulla di più, nulla di meno” (p. 38).
La differenza è che solo chi esce dal mondo fa una scommessa assoluta, si scioglie da ogni altro vincolo, si consuma nella ripetizione del gesto: “Tra me e i miei accusatori c’è un fossato invalicabile, una questione di specie, quasi di genere i miei accusatori sono tutti impiegati – io, no. Gli impiegati cambiano padrone. Hanno sempre un padrone – Io non ho mai avuto padroni – Ho perso tutto in questa spaventosa avventura in cui avevo perso tutto in anticipo” (p. 92; qui e in seguito, corsivo nel testo).
Il rapporto con l’assoluto non fa parte della vita: o coincide con essa o non è. Il rapporto con l’assoluto prevede una dedizione assoluta; non sono contemplabili ripensamenti, imprecisioni: “Sono un maniaco del lavoro scrupoloso. Gli errori io non li capisco. Non li tollero mai, per quel che riguarda me. Odio quello che faccio, ma lo faccio perfettamente, sempre a qualsiasi prezzo e in qualsiasi condizione”, p. 136.
Invece no. I grandi scrittori non escono dal mondo; se è vero che ne abbandonano la superficie, lo fanno per addentrarsi nel suo nucleo più intimo, là dove nasce il ritmo: “I miei libri esistono, sono stati plagiati abbastanza, hanno nutrito un numero sufficiente di presuntuosi copioni per essere mostrati e ammirati e per riconoscerne il non so che la petite musique intorno alla quale i miei imitatori girano a vuoto senza capire”, p. 167.
(Citazioni tratte da Louis-Ferdinand Céline, Lettere agli editori, a cura di Martina Cardelli, Quodlibet, Macerata 2016).