L’uomo è buono di Leonhard Frank (Del Vecchio Editore, nella traduzione e cura di Paola Del Zoppo) raccoglie due testi: il lungo racconto L’origine del male, uscito in una prima versione nel 1915, e il ciclo di cinque racconti, pubblicato nel 1917, che dà il titolo all’intero volume.
Ne L’origine del male Frank narra la vicenda di un giovane “scrittore e poeta in miseria”, Anton Seiler, che da Berlino tornerà nella sua città natale dove rincontrerà, e ucciderà, il suo sadico maestro di scuola; per questo delitto, Seiler verrà condannato a morte. Lo seguiremo prima durante il processo, poi nelle ore precedenti l’esecuzione.
I cinque racconti de L’uomo è buono hanno titoli emblematici: Il padre, La vedova di guerra, La madre, Gli sposi, I mutilati di guerra. Essi mostrano infatti, da cinque differenti punti di vista, la tragicità e assurdità della guerra.
Come giustamente rileva Paola Del Zoppo nell’ampia postfazione, i testi (elaborati durante il primo anno della Grande Guerra) rappresentano un importante manifesto pacifista. Frank, con uno stile debitore dell’espressionismo (anche cinematografico), illustra le terribili conseguenze che il conflitto bellico ha sugli uomini, e lo fa con un taglio davvero originale: senza distinguere i danni fisici da quelli psicologici. La guerra, sembra dirci l’autore, mùtila, cioè priva irrimediabilmente di qualcosa, sia esso un arto, una persona cara o la fiducia nella bontà dell’uomo.
La fiducia o meno nella bontà dell’uomo: ed ecco che gli orizzonti filosofici del libro superano la congiuntura storica. Sarebbe infatti riduttivo attribuire a Leonhard Frank il mero ruolo di intellettuale engagé. Le sei narrazioni che compongono L’uomo è buono sono semmai altrettante indagini sulla compresenza, nell’animo umano, dell’inclinazione al bene e al male.
Una prima e superficiale lettura potrebbe indurci a pensare che, per Frank, le azioni malvagie abbiano un’origine psicologica, discendendo dai traumi patiti negli anni dell’infanzia (corsivo nel testo): “Se una sola esperienza può controllarmi così completamente, com’è accaduto, allora devo concludere che la somma di tutte le esperienze infami dell’infanzia, che giace celata e dimenticata nella mente di un uomo (e sono certamente molte) può, in circostanze favorevoli, renderlo strumento di ogni efferatezza” (pp. 63-64).
Eppure quando, al processo, Anton Seiler ribadirà l’idea dell’origine infantile del male, frutto di un’educazione corrotta, pronuncerà parole vaghe e confuse, e se accennerà al bisogno di eliminare gli stimoli a nuocere, non specificherà in che modo farlo: “Perché la persona è solo il martello, l’origine è il pugno che lo agita… e alcune volte lo lascia precipitare sul cranio di un’altra persona. […] Quasi tutti i crimini provengono da una errata educazione, dalla morale falsificata, da rapporti sociali impropri. Tutte le anime sono ferite. Tutto il mondo odora di fenolo!… Bisogna impegnarsi affinché le origini del crimine vengano eliminate, perché altrimenti si continuerà a incarcerare, a decapitare, ancora per centomila anni” (p. 97).
Ma già poche pagine dopo, per bocca di un giurato, la prospettiva muta, e le origini del male si allontanano dall’ambito culturale: “La fonte originaria del male non è da cercarsi nelle esperienze, ma nella natura. La natura stessa è buona e cattiva. E la fonte, la fonte originaria del bene e del male (della morale) sta dietro l’apparenza di ciò che è riconoscibile dagli uomini… Caino e Abele” (p. 105).
Si giunge quindi alla grande intuizione di Frank, prestata alle parole di Anton Seiler in preda al delirio, poco prima della propria esecuzione: “Disse pensoso: – Tempo… ore… origine, – si sforzava di riflettere, e il suo viso prese a risplendere, come se dopo anni avesse finalmente trovato una soluzione a qualcosa. Trasfigurato, guardò il secondino: – Ma è meraviglioso. Così meravigliosamente semplice. Tempo e ore fanno l’origine, la causa, – esclamò. – Ah! Origine temporale!” (p. 131).
Dunque la presenza del male nel mondo non dipende dall’uomo. E se l’arco del tempo (individuale e universale) reca in sé la possibilità del male tanto quanto quella del bene, la responsabilità morale potrà al massimo garantire un’illusoria probità (un’illusoria salvezza) personale.
Perciò, al di là del suo innegabile valore di denuncia, mi pare che L’uomo è buono esprima un’inquietudine ben più profonda. Inquietudine sintetizzabile in una domanda che, pur mai esplicitata, percorre tutte le pagine del libro: che senso ha essere buoni all’interno del tempo, se il tempo (in cui ogni vita nasce e si spegne) prevede il male?
Nell’uomo c’e’ il bene e il male. ” L’inclinazione al bene ” dipende in primis dalla formazione di una coscienza corretta e con senso critico. Poi entrano in gioco le strutture sociali : giustizia,lavoro,serenità familiare e sociale. La corruzione è la piaga del nostro mondo che partorisce violenza,ferocia e tanta rabbia che è sotto gli occhi di tutti.
Inviato da iPad
In occasione della Marcia per la pace Carmilla ha pubblicato un estratto da Il padre, il primo racconto del ciclo “L’uomo è buono”:
http://www.carmillaonline.com/2014/10/19/padre-leonhard-frank/