Tutto ciò che riguarda l’uomo non può uscire dalla logica della compensazione, dell’equilibrio, dello scambio.
Per compiere atti, per avere pensieri liberi dall’interesse, dal calcolo, bisognerebbe non avere di essi memoria, non accorgersene, non sentirne la proprietà.
Con tutto quello che ho dato, tutto il bene che ti ho voluto, tutte le energie che ho donato, tutto ciò che ho fatto per te.
Ogni attaccamento è tentativo di colmare il vuoto, la discontinuità nella vita, di placare la paura della discontinuità finale.
L’attaccamento non è solo alle cose, alla materia, ma anche alle idee, ai significati, al male subito, al male fatto, al male collocato.
Bisognerebbe sforzarsi di vedere gli altri, l’Altro, come figure senza sporgenze, lisce, di pura superficie.
Eppure “la realtà del mondo è fatta da noi, col nostro attaccamento. È la realtà dell’Io trasportata da noi nelle cose. Non è affatto la realtà esteriore”, scrive Simone Weil in L’ombra e la grazia (Bompiani).
Ma è possibile accettare l’esistenza (la realtà) degli altri senza dirli attraverso i difetti, i talenti, le parti, la relazione di debito e credito?
È possibile una relazione senza arricchimenti, impoverimenti, attaccamenti?
È possibile una scrittura senza scrittori?
Scrive Cesare Viviani che “la forma è l’esattezza dell’assenza”.
(Cesare Viviani, Non date le parole ai porci. Prove di libertà di pensiero su cose della mente e del mondo, il nuovo melangolo, Genova, 2014)
La forma è l’esattezza dell’assenza… da ripetere come un mantra o una formula alchemica o una preghiera laica… Grazie Giovanna!
Ottime domande Giovanna. Riflettere ci fa bene, come sempre, soprattutto dopo la citazione di Simone Weil.
Grazie Giovanna per la ” soffiata “. L’ho comperato, lo sto leggendo. E’ un libro necessario ( Viviani tra l’altro è uno dei miei poeti preferiti ).